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COMUNICAZIONE ECOLOGICA E RELAZIONE SE’-ALTRO DI EVA MARIA LOTZ
pubblicato in “Biosistemica – la Scienza che Unisce” a cura di Rita Fiumara-Liss e Pino de Sario, Edizioni Franco Angeli, Milano 2015
La nostra comunicazione abituale non è “ecologica”
Ho conosciuto Jerome Liss nel 1993 quando ero presidente della Cooperativa Upacchi Villaggio Ecologico e assistevo impotente a un deterioramento delle relazioni interpersonali e un inasprirsi dei conflitti tra noi pionieri che stavamo trasformando un antico borgo abbandonato in un luogo dove vivere in armonia. Non riuscivo proprio a capire perché le persone entusiaste e piene di buona volontà che eravamo, nella gestione collettiva di denaro, potere e relazioni stavano diventando ognuno il nemico dell’altro.
Avevo letto un articolo di Jerome sulla Comunicazione Ecologica e lo chiamai per venire a Upacchi e a lavorare con noi. Il suo intervento ci ha fatto capire tante cose, come potevamo trasformare il nostro modo di gestire le riunioni e collaborare meglio, ma a tanti membri questa “impresa” sembrava troppo faticosa, così decidevamo di sciogliere la cooperativa e basare i nostri rapporti sul “buon vicinato”. Io invece decisi di seguire il corso di formazione sulla Comunicazione Ecologica tenuto da Jerome e Pino de Sario alla Scuola di Biosistemica a Roma, e ora spesso lavoro con gruppi che vogliono creare comunità o ecovillaggi per aiutarli a non cadere negli stessi errori che abbiamo fatto noi.
Racconto la mia storia personale come uno degli innumerevoli esempi di come non basta la buona volontà, o uno scopo nobile, per creare un modo di vivere e lavorare insieme in armonia. La nostra cultura perpetua un modello di relazione con l’altro basato su dei concetti di potere e dominanza piuttosto che sistemici, concetti che non tengono conto delle ricerche dell’ultimo secolo nel campo della relazione corpo-mente, della relazione sé-altro. Il nostro modello culturale perpetua la visione che si debba reprimere impulsi ed emozioni per educare le persone, mentre “la ricerca di H. Laborit mostra che [a livello psicologico] il funzionamento prolungato del sistema d’inibizione dell’azione crea una serie di alterazioni organiche che alla fine portano alla malattia psicosomatica e ai disturbi dell’emotività. … che cosa possiamo dire delle nostre naturali abitudini quotidiani?”.[1] Cosi tutti noi ci portiamo dietro un repertorio di comportamenti comunicativi né rispettosi delle persone, né della collettiva, né funzionali per creare contesti di sviluppo “ecologico”.
Le trappole della comunicazione quotidiana
Se nella nostra cultura abbiamo appreso modi di comunicazione non in sintonia con le “leggi della natura” degli esseri umani e delle relazioni interpersonali, è inevitabile il nascere d’incomprensioni, conflitti, corti circuiti e altri disagi. Jerome Liss ci mette in guardia contro le trappole della comunicazione, proponendo le tecniche della Comunicazione Ecologica come “antidoto”.
Quando pensiamo all’educazione che abbiamo ricevuto, non ci meravigliamo che le trappole più comuni della comunicazione si chiamino dogmatismo, moralismo e monopolizzazione. Chi non si ricorda del tono di voce dell’insegnante che fa le prediche, dei genitori che cercavano di farci capire come “ci si comporta”, della noia infinita quando dovevamo ascoltare il discorso di una persona che non smetteva mai di parlare. Infatti, il disagio che sentiamo quando incontriamo queste abitudini e altri modi di comunicazione che svalutano la nostra esperienza, proviene quasi sempre da un vissuto della nostra infanzia, quando era meglio non protestare per non perdere l’approvazione dei grandi che ci parlavano in questo modo.
Un’altra abitudine che si rivela una trappola nella comunicazione con l’altro, creando chiusura e aggressione, è la critica negativa. Spesso la utilizziamo pensando di dover dire all’altro che cosa fa di sbagliato, e lei o lui reagisce ritirandosi o aggredendoci. Anche noi stessi, quando ci sentiamo giudicati o sminuiti non riusciamo più a comunicare bene, perché ci ricordiamo le troppe volte che ci è successo quando eravamo piccoli e non potevamo difenderci.
Da grandi invece possiamo provare un grande senso di frustrazione se sentiamo gli altri parlare in maniera vaga, astratta di qualcosa, faremo fatica a comprendere quello che ci vogliono dire, o perderemo la pazienza, e poi succede anche a noi stessi di cadere nelle trappole della vaghezza e dell’astrazione.
Quando siamo in un gruppo, le trappole della comunicazione disturbano in maniera potenziata la comunicazione, moltiplicandosi le occasioni di caderci con il numero di persone presenti. Nella Comunicazione Ecologica, infatti, si per i gruppi si suggerisce fortemente di usare un facilitatore.
La corrente della comunicazione come alternanza tra messaggio e ascolto
Quali sono premesse per una comunicazione efficace, rispettosa dell’individuo e dell’insieme, autentica e di qualità? Anche se ci può sembrare una cosa banale, la prima premessa è costatare che la comunicazione, all’interno del sistema, è un’interazione tra due poli: uno manda un messaggio, l’altro lo riceve, ascolta.
Se invece mettiamo una lente d’ingrandimento sulla nostra comunicazione quotidiana, questa banalità ci fa comprendere tanti corti circuiti che si lì si producono: I due poli s’ignorano, si accavallano, si combattono a vicenda, uno parla, l’altro non ascolta, uno ascolta, l’altro lo sommerge con un fiume di parole, uno parla, l’altro lo interrompe, e avanti così con tanti scenari possibili. Questo non è ecologico!
La prima cosa da fare è di separare bene questi due “poli”, per evitare il corto circuito, come con la corrente elettrica che fluisce bene quando interagisce da un polo all’altro. Posso essere consapevole del fatto che sono io a parlare, posso focalizzare la mia attenzione al messaggio che voglio dare, e al modo in cui lo esterno? Posso rendermi conto che sto ascoltando un’altra persona, che sto ricevendo un messaggio, delle sensazioni ed emozioni che questo messaggio sta muovendo dentro di me? Posso essere centrato e alternare i due poli con consapevolezza e intenzione?
Le qualità “ecologiche” del messaggio
Considerando importante l’interazione dei due poli ascolto e messaggio, se ci metteremo dalla parte dell’ascoltatore, comprenderemo bene le caratteristiche di un messaggio che è recepito di buon grado, o che ha l’impatto che desideriamo. Che tipo di messaggio accogliamo senza reagire con disinteresse, noia o perfino con rabbia?
Sicuramente preferiremo un messaggio conciso e concreto a uno dispersivo e vago. Concisione e concretezza, infatti, sono due qualità importanti per una comunicazione di valore, e in maniera particolare se avviene all’interno di un gruppo.
Probabilmente non ci piacerà ricevere messaggi con giudizi forti nei nostri confronti o pieni di moralismo, invece proveremo interesse a quello che la persona ci dice di sé, delle sue esperienze, dei suoi valori e opinioni, e il messaggio ci coinvolgerà ancora di più se dal linguaggio del corpo e dal tono della voce comprendiamo che il contenuto è in linea con le emozioni di chi parla. Nella Comunicazione Ecologica si parla di “messaggio io”, o messaggio in prima persona che rispetta il “territorio” dell’altro invece di mandargli un messaggio “tu” che spesso ha come conseguenza un innalzamento delle difese di chi si sente invaso.
Il messaggio “ecologico” inoltre è costruttivo, usa la negatività per “dinamizzare” l’interazione, per poi trasformarla in suggerimento o proposta, parla di vantaggi o svantaggi piuttosto che svalutare le idee degli altri o criticare negativamente.
Due tipi di messaggio sono di particolare importanza nella Comunicazione Ecologica: uno è la “critica costruttiva”, che ci aiuta a esprimere quello che non va nel comportamento dell’altro e a suggerirgli una soluzione in modo rispettoso e non-violento. La Critica Costruttiva e un messaggio che si svolge in cinque passi, prima chiedo il permesso di sollevare un problema, nel secondo passo descrivo il fatto concreto, nel terzo passo esprimo quello che ho sentito nella situazione descritta, come quarto passo do un suggerimento, esprimo una richiesta o una proposta per il futuro, e infine chiarisco le ragioni per il mio suggerimento. In questo modo evito di accusare o giudicare l’altro, e il disagio che ho sentito può essere trasformato in maggiore comprensione.
L’altro tipo di messaggio “ecologico” sono gli apprezzamenti. Se per il benessere del gruppo e dell’individuo è necessario sviluppare ed esprimere i talenti e le qualità positive, non è auspicabile inibire questa espressione punendo gli aspetti “negativi” della persona. Jerome Liss dice della Comunicazione Ecologica: “La Comunicazione Ecologica inverte la direzione: “coltiva i germogli e i bulbi. Da nutrimento …”[2] Un apprezzamento che nutre ha delle caratteristiche precise. Come nella critica costruttiva, anche nell’apprezzamento è utile descrivere il fatto concreto, o la qualità che ci piace della persona, un apprezzamento generico o vago può essere percepito come un complimento di circostanza o come lusinga.
Le qualità “ecologiche” dell’ascolto
Anche se sono in atto tendenze alternative, nella nostra società ancora conta di più il fare dell’essere, l’esteriore dell’interiore, il dare del ricevere, il dire dell’ascoltare. Questo modo di vedere le cose ci può portare a considerare l’ascolto come un essere passivi, una pausa forzata per aspettare il nostro turno di finalmente esternare il nostro messaggio.
Pensando invece alla comunicazione in termini di alternanza tra due poli come proposto sopra, ci renderemo conto che non possiamo fare distinzioni di valore, che un polo senza l’altro non può esistere, e rispetto all’importanza dell’ascolto dell’altro si esprime anche il monaco vietnamita Thich Nhat Hanh quando dice: “In molte università americane si tengono corsi di ‘Tecniche di comunicazione”. Non ho un’idea chiara di quello che vi si insegni, ma spero che nella materia sia compresa l’arte dell’ascolto profondo e della parola amorevole. …”[3]
Ascoltare attivamente significa innanzitutto ricevere il messaggio, permettere che quello che l’altro mi comunica mi entri dentro, mi tocchi e mi muova. Per questo sono necessarie piena presenza e attenzione, anche perché più tre quarti del messaggio sono veicolati dal corpo attraverso il linguaggio non-verbale e il tono di voce. Posso segnalare la mia attenzione attraverso il contatto visivo e l’espressione della faccia, con la postura aperta e l’empatia corporea (imitando parzialmente i movimenti dell’altro),[4] con la parola chiave e la frase direzionale.[5]
Nell’ascolto profondo dell’altro non trovano spazio giudizi negativi e interpretazioni del comportamento e delle idee dell’altro, quando questi nascono nell’ascoltatore, è bene che non interferiscano con l’attenzione verso chi racconta. L’atteggiamento imparziale non è facilmente attuabile, abbiamo tutti una voce dentro di noi che valuta e critica in continuazione, sia le azioni dell’altro, sia le nostre. Posso comprendere a fondo il significato del messaggio dell’altro soltanto se non mi faccio influenzare da questa voce abitudinale.
Se rimando a chi mi parla un breve riassunto di quello che ha detto, o parafraso il contenuto del suo messaggio, il mio interlocutore si renderà conto che sto seguendo attentamente il suo discorso e andrà avanti ad approfondirlo.
Il corpo nella comunicazione
La terapia Biosistemica che rappresenta il terreno dove è stata sviluppata la Comunicazione Ecologica, è una psicoterapia del corpo. Una comunicazione rispettosa dell’essere umano non può non tenere conto del corpo come contenitore e strumento che veicola l’interazione. Più del 90% della comunicazione avviene a livello non-verbale, nonostante ciò in tanti contesti dove avvengono processi di comunicazione, ci si comporta come se il corpo non esistesse.
Essere consapevole del ruolo del corpo nella comunicazione significa essere presente a se stessi, percepire sensazioni ed emozioni, esprimere, fare uscire quello che sentiamo e percepiamo insieme al contenuto verbale del messaggio, significa percepire l’altro e il nostro ambiente e rispondere, aprirsi e accogliere l’altro, vibrare come una cassa di risonanza con il sentire di chi ci sta vicino.
Il corpo come veicolo di comunicazione ha bisogno di muoversi, di essere vitale nella sua percezione ed espressione, altrimenti ci arrabbiamo o diventiamo insensibili, come si può osservare in certe riunioni interminabili che sono all’ordine del giorno in molte organizzazioni.
Rispettare il corpo significa accompagnare i sui ritmi e creare situazioni di alternanza tra attività seduta e movimento, tra solitudine e relazione con l’altro. La mia speranza è che presto almeno nella scuola ci si renda conto di questa necessità.
Ascolto Profondo e Critica Costruttiva come percorso di crescita personale
Ho iniziato a considerare questa implicazione della Comunicazione Ecologica in seguito ad una conversazione con un collega che insegna la Comunicazione Non-violenta di Marshall Rosenberg, che parlava della CNV[6] come percorso spirituale che aiuta alle persone a evolversi verso livelli più alti di comprensione e realizzazione, e gli risposi che anche la pratica della Comunicazione Ecologica era un percorso del genere (preferisco l’espressione crescita personale, anche se considero come reale anche una dimensione transpersonale), e che con la Comunicazione Ecologica possiamo sviluppare una profonda comprensione di noi stessi, dell’altro e della natura umana che ci aiuta a vivere in pace con noi stessi e con il mondo.
Quest’affermazione sembra più ovvia quando parliamo dell’Ascolto Profondo e dello sviluppo dell’empatia con l’altro. La pratica dell’empatia ci fa andare oltre i confini del nostro sentire individuale e a trascendere i nostri interessi personali. Dedicando attenzione all’altro impariamo a dare senza aspettarci una ricompensa o un risultato, cosa che ci fa vivere con più gioia e libertà. Se riusciamo a vibrare con il sentimento dell’altro, sentiamo la permeabilità dei nostri confini personali, ci mettiamo in contatto intimo con il mondo dell’altro e infine con tutto il mondo e questa interazione trasforma sia noi, sia il mondo.
Il ruolo della Critica Costruttiva per il nostro sviluppo personale a prima vista è meno evidente, perché l’intenzionalità di questo strumento è in primo luogo rivolto verso un cambiamento che richiedo all’altro. Infatti, la Critica Costruttiva è un aiuto importante all’altro per la sua crescita, fornisce un feed-back sull’impatto del suo comportamento, quello che invece è importante per il nostro sviluppo personale lo potremmo chiamare un “effetto collaterale”.
Nei passi “tre” e “quattro” della Critica Costruttiva, per arrivare dal “fatto concreto” al “come mi sento” e alla proposta, è necessario spostare l’attenzione dall’altro a sé, entrare in contatto con la propria vulnerabilità, avere il coraggio di percepire quello che mi manca per formulare una proposta che sia originata da un mio bisogno. Nel lavoro che ho svolto con le persone, ho potuto costatare che questo passo non è per niente semplice, richiede la volontà di comportarsi in maniera non-violenta, la disponibilità di entrare in contatto con le nostre ferite e con la nostra rabbia e di prenderci cura di noi stessi invece di sfogarci con l’altro e porta, se praticato con coerenza, alla compassione con noi stessi e l’altro e infine a quello che Gandhi chiama la “non-violenza dei forti”.[7] Entrare in contatto con la propria vulnerabilità invece di reagire con il contrattacco richiede grande coraggio e forza.
Applicazioni e pratica della Comunicazione Ecologica
Introdurre la Comunicazione Ecologica in tutti gli ambienti dove esistono delle relazioni interpersonali, contribuirà senza dubbi a invertire la tendenza a irrigidirsi o a degenerare di tanti ambienti che risentono dell’attuale crisi dei valori sociali ed etici.
In famiglia è necessario creare un dialogo tra le generazioni e trovare una modalità di fare crescere i figli senza reprimere la loro spontaneità, dandogli allo stesso tempo il contenimento e i limiti di cui hanno bisogno. L’ascolto profondo, l’apprezzamento e l’espressione autentica di esigenze e bisogni sono strumenti importanti da applicare in quell’ambiente.
A scuola occorre più integrazione tra corpo, emozioni e mente, più conoscenza del funzionamento della comunicazione e delle metodologie della facilitazione di gruppi, più apprendimento attivo e maggiore dialogo tra genitori, insegnanti, studenti e altri attori del mondo extrascolastico per creare un ambiente fertile dove tutti possano crescere insieme e sviluppare talenti e conoscenze.
Nel mondo del lavoro, con le modalità della Comunicazione Ecologica si favorisce la collaborazione e il dialogo tra colleghi e tra livelli gerarchici, lo sviluppo di un senso di appartenenza che permette di raggiungere lo scopo comune.
Nei gruppi di cambiamento sociale la Comunicazione Ecologica può essere sia strumento, sia scopo, permette di lavorare insieme come gruppo e interagire con altri gruppi di base per creare modelli di società ecologiche e sostenibili.
La speranza e lo scopo di Jerome Liss nell’ideare questa pratica era di creare una cultura di partecipazione e “ecologia delle relazioni” universale, che “favorisce la reciproca crescita ed evoluzione della persona e del suo contesto ed evita che una parte subisca danno a vantaggio dell’altra.”[8]
Passi per creare relazioni più “ecologiche” con l’altro
Secondo Jerome Liss non è proficuo cercare di cambiare le nostre abitudini comunicative (e tutte le abitudini) combattendole, ci suggerisce invece di investire le nostre energie a creare nuove abitudini virtuose che possano sostituire quelle vecchie riconosciute come controproducenti. Così ci suggerisce di sostituire gli schemi poco efficaci o dannosi della comunicazione abituale con le pratiche della Comunicazione Ecologica.
Questa cosa è più facile dirsi che farsi, visto che le nostre abitudini comunicative si sono sviluppate in anni e anni di acculturazione. Occorre fare esperienza in prima persona dell’impatto delle nuove modalità, diventare consapevoli del fatto che tanti schemi automatici della comunicazione si usano come strategie per non entrare in contatto con emozioni o come difese. occorrono allenamento e pratica, insieme con altri. Infatti, nei gruppi di formazione di Comunicazione Ecologica si lavora in maniera esperienziale, esercitandosi nel dialogo, con il corpo, nella condivisione.
Un metodo che privilegio nei miei gruppi formazione è il “gioco dei ruoli” come lo proponeva Jerome Liss, dove il “protagonista” può prendere coscienza delle emozioni che spesso influenzano il messaggio senza che ché noi ne siamo consapevoli, e dove i suggerimenti sono dati in modo rispettoso, con l”’identificazione”.[9]. Allenandosi con la simulazione della situazione reale possiamo fare quell’esperienza che ci porta a comprendere e a usare la Comunicazione Ecologica nei contesti e con le persone intorno a noi, trasformando le relazioni in maniera positiva. Chi desidera attuare questa trasformazione può farlo semplicemente proseguendo a passo a passo:
– Comprendere che le modalità della nostra comunicazione abituale sono inadeguate
– Essere disponibile ad aprirsi all’altro e al proprio sentire
– Imparare l’ascolto attivo e profondo
– Essere in contatto con il proprio sentire e a esprimersi in prima persona
– Allenarsi in un gruppo di formazione
– Praticare la comunicazione ecologica nella vita quotidiana
[1] Boadella, David, e Liss, Jerome (1986), La psicoterapia del corpo, Casa Editrice Astrolabio, pagg. 94, 95, 96
[2] Liss, Jerome (1992), La Comunicazione Ecologica, Edizioni La Meridiana, Molfetta (2002), pag. 26
[3] Thich Nhat Hanh (1999), Insegnamenti sull’amore, Neri Pozza Tascaboli, Vicenza (2003)
[4] Liss, Jerome (2004), L’ascolto profondo, Edizioni La Meridiana, Molfetta, pagg. 78 – 83
[5] Liss, Jerome (2004), L’ascolto profondo, Edizioni La Meridiana, Molfetta, pagg. 62 – 70
[6] Abbreviazione del termine Comunicazione Non-violenta generalmente usata da chi la pratica
[7] Sartory, Gertrude e Thomas eds. (1977), Handeln aus dem Geist, Texte zum Nachdenken von Mahatma Gandhi, Herder Verlag, Freiburg im Breisgau (1993)
[8] Liss, Jerome (1992), La Comunicazione Ecologica, Edizioni La Meridiana, Molfetta (2002), pag. 12
[9] Il metodo è descritto in Liss. Jerome (1996), Insieme, per vincere l’infelicità, Franco Angeli editore, Milano, pagg. 101 – 103